mercoledì 29 luglio 2015

Racconto Primo Classificato al PREMIO LETTERARIO VEROLI ALTA 2015 - Frosinone -

QUANDO TU TI ACCORGI DI ME

Sta per accadere di nuovo.
Lo faccio da miliardi di anni, l'ho già fatto un infinito e incalcolabile numero di volte, e anche questa volta è come se fosse la prima volta.
L'umanità non mi vede. Non mi ha mai vista. Sa che senza di me non riesce a vivere, sa che entro ed esco da ognuno a ritmo quasi sempre regolare. Sa un sacco di cose su di me. Ma non mi conosce.
Sono anche io in attesa.

I segni sono inequivocabili. Entro ed esco dal corpo della donna con sempre più frequenza. Quando entro cerco di arrivare fino in fondo, fino a te, ma la tua mamma sente dolore. Tanto dolore. E cerca di spingermi fuori il più in fretta possibile. Provo a non darle troppo fastidio ma so che non posso toglierle tutta la pena.
Sento tutto. Entro in tutto.
La tua ostetrica è tranquilla. Lei mi respira con amore. Quando entro dentro di lei sento anche anticipazione e fiducia. E quando mi espira cerco di portare questo amore dentro alla tua mamma.
Non è facile fare il mio mestiere, ma è bellissimo.

Nessuno sa che io esisto veramente, che sento, vivo e sono come un essere vivente. O forse lo sanno solo in pochi. Tu ancora non mi conosci in questa veste, tu ancora non hai bisogno di me, anche se esisti già.

Spesso mi sono chiesta come si sta, lì dentro. Ma non lo posso sapere. Io sono aria, sto ovunque, nessun posto mi è precluso in questo mondo, nessuno tranne i tuoi polmoni.
Sento che la tua mamma mi chiama sempre più spesso e mi butta fuori con la bocca come se con me tentasse di scacciare da sé anche questo dolore che sente. Ma io ritorno. Sempre.
E ancora mi inala, impaziente, seguendo un ritmo che sento farsi sempre più incalzante, soprattutto ora, che la sua pancia inizia a contrarsi e rilassarsi, contrarsi e rilassarsi...
E io non vedo l'ora di entrare anche dentro di te. Dentro i tuoi polmoni.
C'è una cosa che mi provoca sempre pena. Tutti i bambini – ma proprio tutti - piangono quando mi incontrano per la prima volta.
Vorrei portare sempre piacere, vorrei poter darti il benvenuto che ti meriti ma... mi è stato detto che è giusto così. Che il primo respiro deve essere duro, difficile. 
Di più. 
Quasi impossibile.
In realtà io ti vorrei far sentire l'immensità di quello che sono, e non il dolore. Perché quell'immensità che tu senti ora, dentro alla pancia della tua mamma, io la sento sempre.
Vorrei portarti con me ad accarezzare le foglie della quercia più alta della foresta, in cima alla scogliera che dà sull'oceano. Vorrei portarti ad accarezzare la schiuma delle onde che si infrangono sulla roccia, vorrei portati ad accarezzare la sabbia dei deserti e a sentire come mi profumo quando entro in un campo di lavanda.
Vorrei portarti ad espanderti nel cielo notturno, pieno di luci, vorrei farti cavalcare la più bella aurora boreale, dove mi trasformo in un immenso di colori infiniti e la gente mi può vedere, finalmente anche con gli occhi.
Adoro essere Aurora. Finalmente anche io vengo vista.
Ho due dolori grandi: provocare angoscia nei bambini che nascono a questo mondo, e non essere mai vista.
So di essere indispensabile su questa terra, so che sono il più fido amico e vassallo del Divino, ma soffro sempre perché non sono vista. A volte mi dico che – se fossi vista – potrei aiutare di più le persone, potrei tranquillizzare la tua mamma, potrei dirle di non preoccuparsi perché, quando nasci, a te ci penso io. Potrei portarle più conforto, potrei avvolgerla in una coperta multicolore. Ma non mi è possibile. Ogni tanto un'infermiera o il tuo papà riescono a sentire il mio sussurro e aprono un poco le finestre così che ti possa raggiungere con una brezza di freschezza e anche di profumo. È primavera. E io adoro le primavere.
Raccolgo tutti i profumi che posso e spesso li mischio, creando essenze nuove, profumi che non possono essere invasati. Essenze che mi ricordano il luogo dal quale arrivo, il luogo nel quale anche io sono stata creata. E anche tu.
È questo che ci unisce. Te e Me. E tutti i bambini come te.
Voi vi ricordate ancora di quel luogo, ma sapete che là io vesto un'altra forma, una forma che qua non esiste. E io non posso suggerirla in nessun modo, quella forma, perché qui sono muta e non esiste nemmeno l'immagine di quello che sono veramente. Qui sono solo Aria. Ma con te riesco a parlare, con te e con tutti quelli come te.
Sento la tua mamma stringere forte i denti e il tuo papà tendersi in un attimo infinito. E poi ti sento. Io non posso vedere ma sento tutto, sento con i sensi della mia esistenza.
La tua testolina sta uscendo e io mi metto a danzare, in un piccolo vortice di gioia, vicino alla tua calotta, quell'apertura magica che mi permette di espandermi senza interruzione in tutta la mia infinità. Quell'apertura magica che anche la tua madre Terra possiede, in ben due punti.
So che fra qualche istante dovrò entrare anche attraverso le tue narici e così facendo ti farò del male. È il momento più brutto di tutti, fra tutti i momenti della mia esistenza. È un attimo, ma è l'attimo in cui tu ti accorgi di me, in questa forma. Non mi sono ancora abituata e mai mi abituerò. Ma qui sono a servizio delle radici e questo è il mio compito.
Se superi questi primi dolori poi vai... hai superato l'esame più duro di tutta la tua vita e niente ti potrà mai fermare. 
Vedo comparire i tuoi occhi quasi aperti. Occhi umani con sguardo divino. È questo che poi dovrai recuperare, crescendo, lo sguardo divino. Mi dispiace di doverti fare del male, mi dispiace tanto. 
Vorrei poterti parlare, vorrei poterti urlare che ti devi fidare di me, che tutto ha il suo scopo, che non ti farei del male se non avessi uno scopo.
È difficile essere Aria. E questo è il momento più duro di tutti.

Sto entrando dalla tua calotta e sento che sei ancora nell'altrove, nel Regno senza Confini. Danzo con te e odo le tue stesse melodie. E più entro, più lo spazio da occupare diventa grande, immenso, infinito. Non ci sono muri, o finestre, a chiudere passaggi. Non ci sono timori o vergogne ad ostacolare il transito. Tutto è aperto, tutto è possibile.
E io ti devo chiudere la prima porta, costruire il primo muro.
Il tuo naso è fuori e con lui anche la bocca, e il tuo corpo intero ora sta scivolando fuori rapido.
E so che non posso più ritardare.
Sento il tuo corpo contrarsi, il tuo viso irrigidirsi e diventare sempre più rosso. È un istante. Io ti avvolgo, cercando di rilassarti.

Sono pronta. Sono sempre pronta. Hai sentito il cambiamento repentino. Troppo repentino. Di colpo tutto è diverso. E sta per succedere. Entro delicata dalle tue narici, cercando di darti il meno fastidio possibile. Entro e scendo, diretta verso i polmoni. Tu sei sotto shock, teso come le corde di un violino e ti stai chiedendo che diavolo stia succedendo. Io riesco a raggiungere i tuoi polmoni e poi - nemmeno tu sai da dove giunge -, senti una forza pazzesca salire verso il petto, e poi in gola e poi più su, verso la bocca e poi – finalmente - scoppi a urlare come un pazzo.
E io esco dalla tua bocca come un proiettile appena sparato.
E continuo ad entrare e uscire da te con tanta delicatezza, anche se ormai il momento più brutto è passato. E tu cerchi di rilassarti, per quello che puoi, ma senti che qualcosa –inevitabilmente – è cambiato per sempre.
Danzo attorno a te, cercando di portarti tutto il sollievo di cui hai bisogno, cercando di farmi riconoscere, anche in questa veste, nuova per te. So bene che tu mi riconosci, in qualche modo.
Una cosa mi consola. Io sono Aria, e ci sarò sempre. Per te e per tutti quelli come Te.

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