venerdì 11 ottobre 2013

LIBERA - mini racconto -

Voleva sgranchirsi le gambe. Quasi non la reggevano più.
Si alzò, lentamente, e andò alla finestra.
Era autunno, ancora un altro autunno. Quanti ne aveva già visti?
L'odore, l'odore riusciva a sentirlo benissimo. Sempre lo stesso. Era umido e pieno di profumi muschiati e di foglie secche. Il suo odore.
Si guardò in giro. Ormai vedeva poco: gli occhi non erano mai stati il suo forte.
E oramai anche le ossa scricchiolavano in continuazione e facevano fatica a reggerla. Non poteva più fare i mestieri di casa, o la spesa. Non sopportava la televisione e la radio le dava fastidio.
Chiuse gli occhi.
Aprì la porta di ingresso, salutò il getto d'aria fresca che la investì e avanzò. A memoria. Gli occhi non le dicevano più la verità, il suo intuito sì. Quello non l'aveva mai tradita.
Nessuno sapeva. Nessuno forse avrebbe mai saputo.
Pensò ad Anna, la sua nipotina. A lei non era nemmeno necessario dirglielo.
Ispirò a fondo e cominciò a piangere, piano, silenziosamente, quasi senza lacrime.
Nessuno le poteva rubare niente, né gli avidi, né gli arroganti, né gli invadenti, né il tempo. Né la morte.
Le potevano dire di tutto, farla spaventare, intimidire, provare a convincerla, incarcerarla.
Si sedette sulla vecchia panca di legno sotto al portico e si raccolse dentro di sé. Si trovò. Si trovava sempre.
Inspirò ancora.
La libertà, la sua sacra libertà, e l'immenso, l'amore.
Quelli nessuno poteva portarglieli via... 

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